Capitolo II – La notte dei lunghi coltelli

La chiamano la “notte dei lunghi coltelli”. Niente di macabro, niente assassini e soprattutto niente fraintendimenti: la motivazione è semplicemente ottica. Basta andare sul logo del delitto per capirlo e vedere dal vivo che effetto fa la “Notte del Turini”. Un budello di luci che tagliano come lame il buio ed il silenzio. Un groviglio di curve infinito fra neve, acqua, ghiaccio e situazioni al limite dell’impossibile. Chi conosce i rally sa di cosa stiamo parlando: la tappa più importante nel più importante di tutti i rally. Vincere qui significa entrare nella storia, sempre e comunque, anche se le cose sono cambiate, anche se le corse ora non hanno più quella magia, anche se ormai niente è più come prima. Nonostante tutto resta il Turini, “l’altare dei giganti”, dove gli dei vengono incoronati o sacrificati. E bada bene ricordare che la sua leggenda non nasce dai nomi dei suoi vincitori; tutta gente di un certo livello. Il mito del Turinì è figlio bensì dai nomi delle sue vittime: Gronholm, Larrousse, McRae, Solberg, Andersson…e tanto per mettere le cose in chiaro fin da subito al Turini non gliene fotte un bel niente di chi tu sia; esige rispetto, senza sentirsi il dovere di dartene in cambio. Fu così fin dal principio, quando le curve infinite sulla stretta salita verso il colle erano dominio delle Mini, e fu così in seguito, quando arrivarono le Alpine, le Lancia e le Porsche ad accendere la notte. Il fascino di questa tappa nacque nel 1962, quando il Rally di Monte Carlo iniziò a giocarsi sul filo dei secondi e il Turini divenne fin da subito il momento clou della settimana. Dal 1965 nacque la vera “Notte del Turini”, con sei stages e tre passaggi in vetta alla montagna, dove ogni anno la gente continuò ad aumentare, così come i rischi causati proprio dal pubblico.

Vic Elford e David Stone regalano alla Porsche la prima vittoria nel Principato nel 1968
Vic Elford e David Stone regalano alla Porsche la prima vittoria nel Principato nel 1968

Nel 1968 poi, quando il dominio Mini del biennio 66/ 67 sembrava ormai dimenticato, l’Alpine di Larrousse e la Porsche di Elford arrivarono a giocarsi la vittoria del rally lassù, dove osano – o sbagliano – gli dei. L’A110 transalpina sembrava lanciata verso la vittoria, almeno fino al momento in cui qualche spettatore decise di gettare della neve sul percorso, distruggendo contro le rocce i sogni di Larrusse e consegnando alla leggenda il marchio Porsche nella storia dei Rally. I rallisti ormai sembrano quasi accettarlo anche se prenderebbero a calci nel sedere tutti quegli idioti, ma alla fine anche questi gesti di estrema ignoranza sono diventati col tempo parte del mito. A Waldegaard andò anche peggio: nel 1979 il Turini per lui doveva essere la passerella per il paradiso. I sei minuti di vantaggio sulla Lancia Stratos di Darniche erano qualcosa di incolmabile, almeno fino al momento in cui trovò davanti a lui due grossi massi di pietra contro i quali si schiantarono tutti i suoi sogni. Nel passato recente restano infine i dubbi sugli errori di Gronholm, Solberg e Cecchettini nel 2005. L’asfalto quel giorno era asciutto, ma nella prova speciale numero dodici tutti e tre andarono fuori per della neve all’interno della stessa curva. Le note di alcuni navigatori recitavano “extra slippy snow”, Solberg ammetterà il suo errore, ma nonostante tutto i dubbi ancora oggi restano.

Sandro Munari e la Lancia Stratos HF, un binomio infallibile al Rallye de Montecarlo 1977
Sandro Munari e la Lancia Stratos HF, un binomio infallibile al Rallye de Montecarlo 1977

Andiamo oltre però, perché oltre al calore della gente la magia del Col de Turini resta ben altro: una storia fatta di battaglie tirate fino all’ultimo respiro e nomi di piloti diventati eroi anche solo per un giorno. Nel 1972 è il nostro momento di gloria: le Porsche e le Alpine sul Turini asciutto sarebbero imprendibili, ma in condizioni variabili del manto stradale la Lancia Fulvia diventa stellare. Sandro Munari domina i dodici km in salita e i restanti dodici in discesa nei tre passaggi sul Turini. E’ la sua notte e per la prima volta un italiano si trova lassù, con lo champagne a festeggiare la vittoria nel Rally più bello. Una festa tutta italiana poi replicata nel triennio ’75, ’76 e ’77, con il dominio della Stratos HF, imprendibile e impeccabile su ogni superficie.

Andruet MC73
Nella foto quello che sarebbe dovuto essere il dramma di Andruet e Biche al Montecarlo ’73, ma le cose andranno diversamente…

Sarebbe potuta andare anche meglio al pilota veneziano, non fosse che, nel 1973 – un anno dopo la gloriosa edizione del 1972 – il Turini fu palcoscenico di una delle storie più belle delle corse. In quella notte prima di partire per l’ultima tappa i giochi sembravano già fatti, con Jean Claude Andruet davanti a tutti. Insieme a lui Michelle Espinosi Petit, soprannominata “Biche” – “cerbiatto” per i francesisti – chiamata così per il suo sguardo, e proprio con quegli occhi deve aver guardato il suo pilota Jean Claude quella notte di gennaio, quando durante la quarta prova speciale i loro sogni sembravano spegnersi nella salita al colle. Ove Andersson quella notte provò il tutto per tutto. Già vincitore di due edizioni del Rally, non volle cedere un secondo ai sentimenti: freddo e spietato, senza pietà per le signore! Al primo passaggio sul Colle della Maddalena recupera quaranta secondi e una volta arrivato dall’altra parte della valle è il momento della seconda prova: il Turini. Andruet si difende con le unghie e con i denti, ma è costretto a cedere ancora qualcosa allo svedese, la notte entra nel vivo e al secondo passaggio in vetta al colle la storia lascia spazio al mito. L’Alpine della coppia francese buca la gomma posteriore sinistra, Jean Claude si dispera e col cuore pieno di tristezza pensa al ritiro. “Biche” non ci sta, lo sprona a crederci: non può e non deve finire così. Bisogna provarci: perché il destino è strano e col cuore si può vincere. Si dice che una donna possa far fare qualsiasi cosa ad un uomo, Jean Claude aveva persino messo in mano la sua stessa vita ad una donna e per questo motivo si deve fidare di lei adesso più che mai. Non gli resta altro che assecondarla, chiudere gli occhi e portare la sua Alpine al traguardo su tre ruote.

Andruet, Biche e la loro Alpine freschi vincitori del Rallye de Montecarlo 1973
Andruet, Biche e la loro Alpine freschi vincitori del Rallye de Montecarlo 1973

Terzo, a un minuto di distanza da Ove Andersson, non sa se ridere o piangere, non sa se quella è la sua notte o quella di Ove, decide così di rimettersi in macchina e aspettare che il destino si riveli. La quinta tappa va in scena sul Col de la Couillote e la fortuna che fino a quel momento aveva sorriso allo svedese ora gli diventa beffarda, Ove sbanda e sbatte contro un muro di neve, perde qualche secondo, quanto basta per permettere ad Andruet di continuare a sognare. Il francese ci crede, lo svedese accusa il colpo e all’ultimo passaggio sul Turini Jean Claude è di nuovo al primo posto, con quattordici secondi di vantaggio. L’ultima prova si disputa infine sul Col de la Madonne, una tappa insidiosa come non mai, fatta di curve veloci a picco su di uno strapiombo che da ogni lato porta dritto a Gorbio; ma ad Andruet quella notte non fa paura neanche la morte e guida come un Dio, la sua Alpine fende il buio della notte come una lama affondata nel burro. Il destino gli si rivela in quel momento ed è scintillante come gli occhi della sua “Biche”.  Il “Monte” è suo.

Ben altra storia è quella del 1991, per Francois Delacour resterà soltanto un’occasione sprecata, per i tanti francesi un sogno irrealizzato. Il giovane pilota di Hazebrouck per la prima volta in carriera si trova nelle mani una vettura ufficiale, una Ford Sierra a trazione integrale, che sulla salita del Turini sembra volare, ma in discesa soffre come non mai. Carlos Sainz con la sua Toyota Celica resta a guardare, senza commettere errori, fino alla penultima tappa, quando all’ultimo passaggio sul Turini la Ford Sierra di Delacour resta senza una ruota, lasciando allo spagnolo il primo dei tre successi al Monte Carlo. Francois avrà comunque l’opportunità di riscattarsi nel 1994, al volante della Escort RS Cosworth. Una macchina straordinaria, che poi diventerà l’ultima Rally Car a vincere sulle montagne del Principato. Correva l’anno 1996 e a Patrick Bernardini toccò il compito di chiudere un’era.

La mappa del Rallye de Montecarlo 1986. L'ultima edizione in cui la "Notte del Turini" consisteva in una vera e propria leg e non in una semplice stage. A guardare gli orari di partenza (in basso) si capisce la grande differenza fra i Rallye di oggi e quelli di un tempo
La mappa del Rallye de Montecarlo 1986. L’ultima edizione in cui la “Notte del Turini” consisteva in una vera e propria leg e non in una semplice stage. A guardare gli orari di partenza (in basso) si capisce la grande differenza fra i Rallye di oggi e quelli di un tempo

Nel 1997 ecco le WRC, l’italiano Pietro Liatti fu il primo ad imporsi, ma il Monte Carlo a cavallo del nuovo millennio diventò il salotto del finlandese Tommi Makinen. Il finlandese lassù diventava un cannibale, annientava gli avversari ed impedì ad un grande come Colin McRae di entrare nella storia della corsa. Una corsa dannata per lui, un po’ come il Safari per Munari o la Le Mans per Mario Andretti, questione anche di sfortuna; è vero, ma contro Makinen al Turini forse soltanto Dio poteva batterlo. Il resto è roba recente, con la “Notte dei lunghi coltelli” prima uccisa e poi resuscitata come contentino per il pubblico, ma il problema è un altro: all’inizio vi avevo detto che “il fascino era sempre lo stesso”. Cazzate! Vi avevo mentito, lo avevo fatto solamente per farvi arrivare a leggere fin qui, perché alla fine oggi il Col de Turini anche se resta ancora la prova chiave del Rally di Montecarlo non è più la stessa cosa. Ma non è tanto una questione di regolamenti, è la mentalità in se stessa ad essere cambiata ed ora molte volte una tappa vale l’altra, conta solo quanto vinci e non come vinci; e così lassù, in cima al Turini, insieme alla leggenda negli ultimi anni se ne è andata pure la neve. Giacomo Sgarbossa

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